La mensa

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La mensa

«Dar da mangiare agli affamati»

L’opera di misericordia corporale portata avanti dai confratelli di Padre Pio
di Stefano Campanella


All’indomani della sua apertura, avvenuta il 28 maggio 1960, il convento dell’Immacolata di Foggia, espressamente costruito per essere adibito «a Curia Provinciale con tutti i relativi Uffici e la possibilità di accogliervi i Padri per riunioni e per il Capitolo Provinciale», divenne spontaneamente e naturalmente un luogo di carità e di condivisione fraterna, com’è tradizione in tutti i conventi dei frati minori cappuccini. Fin dal suo insediamento, la prima Fraternità cominciò a preparare un pranzo sempre più sovradimensionato rispetto alle reali esigenze, per poter garantire un pasto caldo anche ai poveri – all’epoca tutti italiani – che cominciavano a bussare, in numero crescente, alla portineria.

Le ingenti offerte, che giungevano a San Giovanni Rotondo dai numerosi pellegrini attratti dalla santità di Padre Pio, indussero i suoi confratelli a rendere questo servizio di carità, che costituisce la prima delle sette opere di misericordia corporale, più dignitoso per gli indigenti. Già nel 1962 iniziarono i lavori per la realizzazione di un «refettorio per i poveri», che furono «ultimati nel 1965». Da quell’anno i frati dell’Immacolata riuscirono a garantire non solo un pasto completo agli indigenti di Foggia e dintorni, ma anche la possibilità di consumarlo comodamente seduti in un ambiente riservato. Nasceva così una vera e propria “mensa dei poveri”. La svolta, all’inizio degli anni Sessanta, non fu solo logistica, ma fu resa possibile dal dinamismo e dall’abnegazione di un frate laico: Masseo da San Martino in Pensilis. Dopo aver trascorso sette anni della sua vita nel convento di San Giovanni Rotondo, dove era addetto all’accoglienza dei frati forestieri, nel 1961 fu trasferito a Foggia. Nel capoluogo, il frate laico, ex muratore, portò con sé un bagaglio di esperienza nel settore della refezione. Tra le mura claustrali del Gargano, infatti, si occupava anche della cantina e del refettorio e, per questo, il suo guardiano, padre Carmelo da Sessano del Molise, lo aveva incaricato di cucinare espressamente per Padre Pio, con la speranza di vincere la sua ordinaria inappetenza. Fr. Masseo si adoperò con impegno e intelligenza nel preparare tutti i piatti che preferiva il Confratello stigmatizzato, al quale peraltro doveva la sua vocazione religiosa. Ma, nonostante tanta dedizione, «Padre Pio assaggiava qualcosa e poi passava ai confratelli accanto», perché per lui «mangiare costituiva un sacrificio».

Divenuto, in tal modo, esperto nell’approvvigionamento dei cibi e cuoco provetto, fu naturale per fr. Masseo, dopo essersi trasferito al convento dell’Immacolata, mettere queste doti al servizio dei poveri, anche perché l’incarico di cuciniere della Fraternità era stato assegnato a un altro fratello laico, Lorenzo da Teano.

Verso la metà degli anni Settanta erano circa 30 i fruitori della mensa, «quasi tutti stranieri, con casa alla stazione d’inverno e all’aria aperta d’estate» oppure uomini e donne «abbandonati dai parenti più prossimi, soli, con la miseria per compagna, non di rado malandati, quasi sempre da poco in libertà da qualche penitenziario o da una casa di cura» (Lettera di fr. Masseo all ‘ECA di Foggia, 13 dicembre 1977), che il frate incaricato onorava «nella loro dignità di uomini». Per questo provvedeva anche « all’assistenza di quei poveri che, non avendo il coraggio di accedere al refettorio comune, preferiscono ricevere di nascosto qualche aiuto» (ibidem).

All’inizio degli anni Novanta la mensa dei poveri, che dipende dal Ministro Provinciale attraverso un suo diretto incaricato, è stata completamente ristrutturata e resa idonea a venire incontro anche alle necessità degli immigrati extracomunitari: i locali sono stati ampliati e, oltre alla cucina e alla sala da pranzo, sono stati realizzati i servizi igienici e un ingresso autonomo da via Marchianò. Contemporaneamente, per dare certezza di continuità al servizio, i frati hanno deciso di assumere una cuoca, che però viene coadiuvata da decine di volontari, prevalentemente aderenti all’Ordine Francescano Secolare e alla Gioventù Francescana, consentendo di raddoppiare il numero di posti a tavola.

Ulteriori passi in avanti sono stati compiuti nel 2002, anno in cui la mensa è stata intitolata a san Pio da Pietrelcina in concomitanza con la sua canonizzazione, e nel 2012, quando l’attuale responsabile, fr. GianMaria Digiorgio, che è anche economo provinciale, coadiuvato da fr. Umberto Balestrieri, ha costituito l’associazione di volontariato “Mensa dei Poveri San Pio da Pietrelcina ONLUS”, per organizzare meglio la presenza dei circa 40 collaboratori laici.

Attualmente la mensa serve giornalmente 240 pasti caldi e continua ad essere sostenuta da quanto offre la carità dei fedeli e benefattori, sempre sensibili a quest’opera di solidarietà. Ha attivato due docce, una per gli uomini e una per le donne, ai quali vengono distribuiti vestiti puliti, nuovi o usati in buone condizioni, provenienti dalla generosità di negozi o privati cittadini. Garantisce, infine, d’intesa con la Caritas diocesana, assistenza medica e legale agli esclusi da questi servizi.

Ma l’intraprendenza dei cappuccini, al servizio della misericordia, non si ferma neanche in questo periodo di crisi. Due mense dei poveri stanno nascendo all’ombra di altri due conventi: quello di Serracapriola e quello di San Marco la Catola. In entrambi ha dimorato, sebbene per brevi periodi, Padre Pio, che scriveva: «La grandissima compassione che sente l’anima alla vista di un povero le fa nascere nel suo proprio centro un veementissimo desiderio di soccorrerlo, e se guardassi alla mia volontà, mi spingerebbe a spogliarmi perfino dei panni per rivestirlo».

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